Tratti d’intesa

La superficie scura della scrivania.

Fogli sparsi che mi insegnano appunti che ho preso per un nuovo progetto a cui voglio dedicare il tempo necessario, scrittura e scene.

Come intarsi e geometrie.

Prendo la biro e scarabocchio qualche parola qua e là, increspo gli atti e poi li immagino nella mente.

Sottofondo di batteria, note in tumulto che mi ricordano la voglia di ribellione degli anni di una mia gioventù che stava stretta.

Come se potessi sorseggiare del Jack Daniel’s come Lemmy Kilmister che tra pochi giorni ricorderò nell’anniversario della sua morte, ritrovo spregiudicatezza e colori.

Sì un pennarello che credo abbia dimenticato tra le mie cose mia figlia.

Sposto il bicchiere e comincio a roteare tra le dita il tappo bianco. Apro e chiudo e sorridendo scuoto la testa a destra e sinistra.

Lei, la mia famiglia.

Amore, complicità e adattamento ad una parallela piccola che allunga i suoi passi accanto ai miei in quegli attimi che facciamo solo nostri.

Lei che è stata un colpo di scena, arrivata a sorpresa, capitata a sconvolgermi, a lasciarmi di stucco perché era per la prima volta un film che non potevo gestire e disegnare attraverso scene, ma era un giostrare che non ero in grado di fermare, fino a che non l’ho presa tra le mie braccia.

Lì ho capito. Ogni senso, ogni rispetto, tutte quelle certezze di vita che invece di crollare si sono scaldate tre le sue piccole dita.

Non sapevo se il mio sentirmi parte di qualcuno mi avrebbe destinato ad un rapporto freddo e invece eccola lì che mi colora la vita, l’esistenza, mi resetta la confusione e stringe la mia tristezza tra le mani, fino a stritolarla e farmi uscire un sorriso, uno dei tanti che si somma a tutti i nostri che non restano se non nei nostri giorni.

Riordino i fogli frettolosamente, chiudo il pennarello e lo metto vicino ad un foglio bianco sul quale ho scritto il nome della mia vita.

 

(Dall’esperienza di Dario)

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2018-12-29T10:03:54+01:00