Sul treno

Mattino presto. Sono seduta in treno. La fronte poggiata al finestrino, la testa fasciata in un capello blu di lana, con un grosso pon pon bianco. 

Le braccia conserte, le mani a scaldare dentro le maniche felpate del giubbotto color petrolio.

Il senso di distacco. Il guardare la banchina che corre sotto ai miei occhi. I sassi, l’erba, il tempo che scorre come queste lamiere sulle rotaie.

Pensieri sparsi qui in questa carrozza, dove il silenzio regna sovrano, interrotto ogni tanto da qualche colpo di tosse sommesso e da spostamenti ancora assonnati degli altri viaggiatori.

Vado lontano. In un posto nuovo. Sentivo il bisogno di staccarmi, di scoprire luoghi nuovi, camminare tra case dai muri vecchi, con storie nuove.

La borsa che contiene pochi abiti, leggera come vorrei poi fosse il mio cuore una volta ritornata a casa.

Se quella posso chiamarla ancora casa.

Il senso di irrequietezza mi stringe la gola, i polsi si fanno rigidi, mi sento un’intrusa a me stessa.

Il treno si ferma, una stazione sconosciuta, forse sale qualcuno.

Mi raggomitolo sul sedile, mi riparo dal freddo che mi parte da dentro. 

Il cielo là fuori è bianco, candido, invernale. Vestito di fretta per uscire a raccogliere gli incontri che accadono per caso, quelli del Natale che si sta avvicinando. Contorna tetti fumanti che scorrono oltre i miei occhi e faranno parte di un paesaggio che tra qualche giorno vedrò al contrario.

Chiudo gli occhi e mi lascio cullare dal cantilenare del treno.

Cado in un mondo ovattato, che ribolle di desideri.

I suoi occhi.

Le sue mani.

La sua voce.

Tutte quelle cose che mi mancano.

Lo sento ridere, ne vedo le pieghe vicino alla bocca.

Il suo modo di prendermi in giro.

Quella canzone sussurrata piano, quando cantavamo insieme e poi ci sentivamo ridicoli.

Mi manca.

E sento il cuore cedere un battito. 

Mi desto, mi sposto, mi guardo attorno, come se gli altri avessero sentito il mio peso cadere e invece tutti sono assorti nei loro cellulari, gli schermi come calamite.

Oltre i sedili davanti a me noto due occhi, mi stanno guardando e mi sento divampare, conosco quel colore, conosco quel profilo.

Sto solo impazzendo, perché non può essere possibile, anche se nulla è impossibile.

Ritorno a guardare fuori, ma mi sento osservata, mi sento estranea, mi sento stringere le spalle.

Abbasso le palpebre perché penso di stare ancora sognando.

Un rumore sordo, uno spostamento e il calore di qualcuno che si avvicina.

Non mi giro, come quando in prima superiore proprio quel ragazzo di quarta venne a sedersi vicino a me, non riuscivo a girarmi, sentivo un imbarazzo superlativo addosso.

Ora la stessa sensazione anche se di anni ne sono trascorsi tanti, la mia timidezza diventa una corazza difficile da distruggere.

Una mano che si allunga verso di me, il palmo aperto, le righe della vita che si irradiano lungo le dita, la guardo senza voltarmi. Aspetta un attimo e poi muove l’indice come a simulare un serpente, mi scappa un sorriso. 

Prendo quella mano e non la lascio, la mia è di ghiaccio ma si scioglie.

Non faccio domande, mi basta lui sia qui con me.

Forse sto sognando. Forse è solo ciò che desidero.

Forse sto solo immaginando tutto per stare meglio.

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2022-12-17T16:44:12+02:00