Ridere

Sabato.

E una gita a Sale Marasino.

Il cielo è forte di umidità, come se indossasse un velo prima del cambio stagione che annunciano sia imminente.

Sul calendario l’autunno però è già cominciato.

Montisola qui davanti, il suo verde e lo scrosciare dell’acqua sotto la passeggiata d’asfalto che percorriamo.

Una giornata come altre, una gita fuori porta per rilassarsi, passi calmi in un paese quasi deserto, case su vie ripide, muri vecchi e ante chiuse da anni, decenni oserei dire. Un pensiero mi scappa furtivo, immaginando gli inverni tra quei sentieri, dove non si sentono rumori, dove la pioggia cade scrosciante sull’asfalto e poi sul ciottolato, come a rinfrescare un vecchio che non ha più storie da raccontare.

Le discese ripide e quasi le vertigini a serrarmi le gambe, scendere vicino ai muri e soffermarmi ad osservare una scala, dei gradini piccoli di cemento e per un attimo il ricordo, il ritrovarmi lontana chilometri, in quella Calabria che diventa sempre più distante. Anche là come in questo paesino, case disabitate, muri crepati dal tempo e dal clima, dalla noncuranza, dall’andare via dove la confusione la fa da padrona.

Sorrido e proseguo il mio cammino.

Una sosta ad un ristorante carino, poco lontano dal marciapiede, il lago sullo sfondo ancora annebbiato come a smaltire la sbornia del giorno prima, carico di pensieri, di un grigio che non dà segno di resa.

Il tavolino nero e l’attesa.

Risate.

E non mi volto.

Risate e mi chiedo cosa ci sia da ridere.

Ancora e sono contagiose ma nel silenzio appaiono come una grande stranezza.

O è strano non sentire più le persone ridere?

Troppo abituati alle faccine sul cellulare che disegnano ogni tipo di umore anche mentre sul nostro volto reale aleggia fermezza, dimentichiamo l’attorno.

Come se sentire ridere di gusto possa tutte le volte essere sinonimo di presa in giro.

Rimanerci costantemente male invece di pensare “bello mi faccio contagiare!”

Lo penso dentro di me, come quando esco e guardo il cielo e sorriso, cerco di non togliermi quel disegno dal viso, chissà se riesco a contagiare qualcuno, se forse altri possono distogliere il pensiero dalle preoccupazioni, dal dentro, dal rifugio che spesso teniamo lucchettato dietro monotonia e schermi.

Mordicchio un boccone di pane e vedo passare da parte al mio tavolo i ragazzi che fino a poco prima ridevano di gusto, ancora ridono, forse un bicchierino di vino ha contribuito alla magia, sono operai vestiti da lavoro e tornano al loro da fare.

Liberi di ridere, liberi di non preoccuparsi. In compagnia, quella sana perché spesso siamo tanti a tavola ma soli.

Quindi facciamoci contagiare dalle risate, dal buon umore, perché la libertà è anche questo: polmoni leggeri e solletico in gola.

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2018-11-10T18:26:17+01:00